Marito e moglie uccisi dal Covid a otto giorni di distanza l’uno dall’altra. Hanno trascorso l’intera vita assieme, l’uno accanto all’altra, sostenendosi a vicenda anche nei momenti più tragici per la loro famiglia; come quando, nel 1992, videro morire la figlia Daniela a causa di una malattia genetica.
Si erano sposati quasi 60 anni fa (mancava poco ai festeggiamenti delle nozze di diamante) e assieme; anche se questa volta lontani fisicamente; a distanza di appena otto giorni sono morti.
Giuseppe Santachiara e Silvana Montorsi, che da una trentina di anni abitavano nella frazione di Pieve Modolena, Reggio Emilia, sono uccisi dalle conseguenze del Coronavirus. Lo hanno contratto tra la fine di ottobre e inizio novembre e che li ha strappati alla vita nel giro di pochi giorni.
Lui aveva 88 anni e lei otto di meno, 80. Dopo essere ricoverati a inizio novembre; rispettivamente all’ospedale Magati di Scandiano e nella struttura Covid a Guastalla; se ne sono andati in punta di piedi, senza più nemmeno avere la possibilità di vedersi un’ultima volta.
Giuseppe Santachiara, nato il 18 marzo 1932, è morto la sera di venerdì 13 novembre, a Scandiano: aveva lavorato alla Lombardini, oggi Kohler, e una volta andato in pensione si era appassionato al gioco delle bocce, gestendo il piccolo campo locale.
Silvana, invece, è morta nella notte del 21 novembre, a Guastalla: era impegnata nella Casa di carità adiacente alla chiesa di Pieve Modolena, dove entrambi i coniugi erano molto attivi nella parrocchia che ricorda San Michele Arcangelo.
Ora Giuseppe e Silvana sono di nuovo insieme, uno accanto all’altra: dopo le esequie celebrate in forma strettamente privata, nel rispetto delle norme anti-Covid, i coniugi Santachiara riposano nel cimitero di Pieve Modolena, accanto alla figlia Daniela, scomparsa 28 anni fa.
La coppia, oltre al figlio Ivano, lascia la nuora Marina e il nipote Cristian
«È stata una mazzata terribile – racconta il figlio Ivano – e nel giro di pochi giorni mi ritrovo senza più i miei genitori. Ci siamo ammalati tutti, prima mio figlio, poi mia moglie e io, infine mamma e papà, che non sono riusciti a uscire da questo incubo.
Non siamo andati in ferie, non ho fatto le vacanze per paura di contrarre il virus: anche quando vado a fare giri in bicicletta vado sempre da solo, per non correre rischi, ma alla fine anche noi siamo contagiati, con conseguenze tragiche».
«I miei genitori erano molto credenti e mi è costato tanto dover rinunciare anche al loro funerale – aggiunge Ivano. Ci siamo limitati a una benedizione dei feretri e alla loro sepoltura, così come, nei giorni della malattia, andavo a vedere mia mamma attraverso i vetri della struttura Covid di Guastalla, senza poter farle visita o rimanere a parlare con lei. È un vero dramma». Fonte L’inserto